Mauro Magni, la storia come ricerca delle verità

RAFFAELE NIGRO

MAURO MAGNI, LA STORIA COME RICERCA< DELLA VERITA'

Certamente il ritrovarsi quotidianamente ad osservare le montagne dell’Appennino laziale ha convinto Mauro Magni a chiamare nella propria pittura le alture, le guglie e a pensare la vita sotto la specie del pensiero metafisico. La montagna ha richiamato alla sua mente le proiezioni dell’uomo verso l’alto, la scelta di un sistema verticale rispetto all’orizzontale. Tra l’uomo e Dio, Magni sceglie Dio, lo sguardo verso l’alto. La montagna si è però assottigliata e rastremata, è diventata cuspide, torre piramidale nella quale si raccolgono le voci e i dialetti di milioni di civiltà e di paesi. E’ affiorata alla mente di Magni l’immagine della torre di Babele, nella quale si confondono le voci e i pensieri che hanno offeso per superbia il Signore. E’ la guerra tra gli uomini, la violenza che ognuno perpetra a danno dell’altro, l’insieme delle voci che si sollevano dalle erte di queste montagne e di queste torri. Magni le raffigura secondo uno schema di arte povera, attraversa per cicli progressivi la produzione tribale e totemica, con occhiate a Bruegel e a Burri e al mondo del graffitismo. La torre mi fa pensare soprattutto alla storia, partita appunto dai primordi, come storia dell’evoluzione della natura e degli astri e dei pianeti e poi, all’improvviso, ecco l’evoluzione di una creatura che ha sollevato la schiena e ha cominciato a camminare e a produrre eventi che si sono collocati uno sull’altro, uno affianco all’altro, in una progressione continua che ha dato luogo a forme varie di civiltà. Non sempre dominate da voglia di pacificazione e di accordo, ma più spesso prodotte da odio e ansia di accaparramento e di sopraffazione. Suppongo sia questo uno dei sensi possibili di un’arte che definirei metaforica e che accomuna la montagna e dunque la piramide, i grattacieli, i torrioni, alla fuga o alla forza dinamica della fiamma. Le fiamme corrono verso l’alto, si nutrono di materiale igneo per salire verso il cielo. Sono l’immagine della tensione e della pulsione che si librano dalla carne e diventano pensiero e aspirazione al metafisico. Credo, se non sto prendendo una cantonata, che Magni operi in questa direzione.
Il richiamo alla torre di Babele, la confusione delle lingue e delle culture hanno dato luogo a un ulteriore ciclo, il graffitismo, che simile all’arte del copiare la natura espressa dai pittori di Altamira o delle cripte basiliane, fanno da base alla storia dell’arte e dell’uomo. Magni ha scritto nel Museo di Metropoliz, a Roma, molti metri di nonsense verbali, circondando la sua torre metaforica e metafisica con follia creativa. Una follia lalica che riproduce la follia del mondo. Un messaggio straordinariamente lampante e vivo che apre a un’ulteriore ciclo, quello dedicato alla propria fede e alla religiosità collettiva che fa da contrappeso alla violenza del mondo. Le torri e le piramidi forse sono il tentativo continuo dell’uomo di raggiungere un cielo che gli è negato, o che gli è mostrato come punto ultimo della sua esistenza e al quale si aspira attraverso una arcaica e sgarrupata scala di Giacobbe. La ragione della vita, sembra dire, pure negli errori dell’umanità di credere che la storia sia tutto, sta nella ricerca di Dio e dell’altrove. L’insieme di ossa che costruiscono la piramide della storia, qui espresse da segmenti macchie linee sghembe parole lettere senza senso, hanno una finalità grandissima posta nella strada che conduce alla scoperta delle ragioni ultime dell’esistenza. Ecco allora un’altra dimensione di questa pittura che definirei metafora della verità e della sua ricerca. Verità nascosta, che è costata all’uomo lacrime e sangue e che dalla Babele della vita dovrebbe condurci domani o mai alla verità dell’infinito.