Impulsi rivoluzionari verso una città ideale

GIAN MARIA CERVO

IMPULSI RIVOLUZIONARI CERSO UNA CITTA’ IDEALE

Se oggi cammino sul percorso processionale di Corpus 1462, workshow del progetto EU Collective Plays! che ha aperto il Festival Quartieri dell’Arte 2015, l’installazione Marte (Gaza) di Mauro Magni si presenta come la traccia e la testimonianza più evidente dell’evento. Corpus è stata la riscrittura di quella leggendaria processione teatrale quattrocentesca, concepita da Pio II, che trasformò Viterbo, secondo le parole dello stesso papa umanista, nella “dimora degli dei”, che mischiò architetture e mere e reali, abbatté profferli e porticati al Corso e in via San Lorenzo e creò quindi le condizioni per il percorso del- le macchine teatrali devozionali – inclusa ovviamente la macchina di Santa Rosa – che avrebbero attraversato la Città nei secoli successivi e che di questa processione più o meno direttamente possono essere considerate glie.
In altri termini, l’evento del XV secolo cambiò l’aspetto di Viterbo, architettonicamente e culturalmente. E il team di direttori artistici, curatori, artisti, studiosi e maestranze di Quartieri dell’Arte, adottando come fece Papa Piccolo- mini nel 1462, attraverso i suoi cardinali, strategie polivo- cali e politecniche, ha mirato a fare lo stesso. Viterbo non è più la Città pervasa del senso della s da e della fame di scoperte e innovazioni culturali che la caratterizzarono nella fase umanista del Rinascimento. Ma Corpus 1462 è riuscito a espletare la stessa funzione del suo antecedente umanistico, disseminando il dibattito su architettura e cultura in vari luoghi della Città.
I locali che si trovano ai civici 52 e 54 di via Matteotti, incastonati in un mostro architettonico, ma curiosamente affascinanti, soprattutto se visti dall’interno, sembravano non esistere per il Comune di Viterbo. Lì Corpus 1462 ha portato la suggestiva performance-installazione per tre angeli e donna delle pulizie di Dmitri Prigov, con la Fondazione che prende il nome dall’artista e con il Progetto 20-21 del Museo di Stato dell’Hermitage di San Pietroburgo. E da allora gli amministratori locali hanno iniziato a riflettere sulle possibilità di utilizzo del luogo: probabilmente sarà destinato a COL (Centro di Orientamento al Lavoro) e non a Hub culturale come avremmo voluto noi, ma l’iniziativa di Collective Plays! e di Quartieri dell’Arte ha sollevato un dibattito sull’impiego del luogo che ha a che fare sia con la trasformazione del brutto che con la memoria e l’aura dei luoghi storici (in quel punto di Via Matteotti si trovava il quattro-cinquecentesco albergo della campana di cui si può ancora scorgere un frammento).
L’ex Cinema Corso e ex Chiesa di San Matteo in Son- za, vero concentrato di storia cittadina, luogo di impulsi sacri e profani, grazie a Corpus 1462 è tornato fortemente presente nella memoria cittadina e molte realtà dell’associazionismo sentono oggi il bisogno i recuperarlo alle attività culturali. E lo stesso sta accadendo con Palazzo Bussi.
E in Città si sta dibattendo della realizzazione della Fontana d’Ercole ricostruita e ridisegnata dallo scenografo premio Oscar Gianni Quaranta sulla base delle notizie storiche disponibili.
Niente è stato facile e sarà facile. Nemmeno installarel’opera d’arte di Mauro Magni presso il Palazzo Perotti e comunicarne il significato. È un’opera che fa interrogare chi la guarda sulla natura dell’odio tra diverse culture religiose e è un’opera “leggera” realizzata su una parte non originale di un edificio antico e una parte non originale di un edificio antico con un intervento reversibile effettuato secondo le prescrizioni della Soprintendenza. Ma soprattutto è un’opera realizzata presso un palazzo che fu luogo di soggiorno di quel cardinale Bessarione che mise a repentaglio la propria vita per salvare i libri della biblioteca di Bisanzio dalla distruzione, contribuendo con il suo gesto a un’accelerazione verso quegli impulsi rivoluzionari che sarebbero stati tipici dell’Umanesimo rinascimentale. Questo cardinale doveva avere un senso della multivocalità della cultura e del valore della memoria. I giovani che oggi frequentano il due righe book bar davanti all’istallazione di Mauro, si trovano a loro agio nella convivenza con l’opera, forse perché percepiscono l’aura del luogo e perché la stessa Marte (Gaza) va nella direzione dell’atto del ricordare. Ma credo che dovremmo valutare l’opportunità di creare una didascalia che metta in connessione luogo e opera. Per rendere più chiaro il ricordo. Perché ricordare è sinonimo di giustizia, come disse una volta un intellettuale ebreo. Ed è giusto che le nuove generazioni di cittadini viterbesi sappiano che c’è stato un tempo in cui Viterbo è (già) stata un luogo pienamente inclusivo, un tempo in cui intellettuali diversi, dai nomi come Michael ben Sabthai o Joseph Hagri, venivano rispettati e portavano rispetto per la Città.
È difficile descrivere l’ansia che c’era in me preparando un evento complesso come Corpus 1462 e quelle ore
forsennate, nei giorni immediatamente precedenti la manifestazione, di sopralluogo alle varie stazioni di cui si componeva l’iniziativa. Ma mi ricordo un momento legato all’opera di Mauro, meno di 24 ore prima dell’evento. L’installazione era quasi pronta e con me c’era Bruno Pagnanelli che volle scattarmi una foto davanti al murale. Nell’immagine ho le braccia conserte, forse un segno che volevo tenere segreta la mia preoccupazione e dietro a me si legge un frammento di frase, “dall’ingiustizia e dall’oppressione”. Non posso dire che quell’immagine estinguesse la mia ansia ma sicuramente mi diede energia e mi ricordò che con Corpus non si stava facendo una mera iniziativa ricreativa ma un atto di giustizia realizzato attraverso una collisione di prospettive e di memorie. Noi abbiamo dovuto resistere a fenomeni e uomini più meschini e meno pericolosi di quelli a cui dovette resistere il cardinale Bessarione. Ma quando il nostro Festival nacque riflettendo di teatro elisabettiano e di scrittura androgina e di ruolo delle minoranze nell’evoluzione della cultura egemone, c’era chi ne negava l’esistenza di fronte ai giornalisti che arrivavano incuriositi a Viterbo. La medaglia, per quanto piccola, dei tentativi di ridefinire la Città in senso inclusivo, senza ricorrere all’ovvietà di un certo rovinoso teatro politico, ma ricorrendo piuttosto a una molteplicità di prospettive e a sofisticate strategie drammaturgiche, Quartieri dell’Arte la porterà sempre con fierezza e orgoglio. L’opera di Mauro Magni ha, rispetto a tutto questo, una funzione sia sineddochica che simbolica. È un segno che spero rimarrà il più a lungo possibile a testimoniare la nostra presenza e il nostro lavoro.